“ANIME” IN ITALIA, TRA CENSURE E COSCIENZA
Sailor Moon e Rayearth, cartoni animati giapponesi, due serie più volte trasmesse sulle reti Mediaset, altrettanto famose, che, nonostante l’aspetto puramente artistico, sono state protagoniste di una lunga catena di polemiche. Sailor Moon e Rayearth due serie che hanno dovuto subire l’umiliazione della scure censoria che non ha avuto la minima pietà. Potrei parlare per ore per segnalare tutte le censure ed i cambiamenti che hanno subito, potrei fare una lista così ampia da poter riempire molte pagine, ma ho deciso di segnalare le più clamorose, quelle meno spiegabili, lasciando il commento a persone che appartengono al mondo della psicologia, cioè alla stessa categoria di chi sta invece inveendo contro, di chi ha sviluppato e diffuso sui cartoni animati giapponesi l’infamante etichetta: “sono troppo violenti”. La realtà è ben diversa. Prima di esplicare le motivazioni che mi hanno spinto ad affermare ciò, è necessario fare una piccola premessa. In Giappone i cartoni animati sono divisi per “fascia d’età”, vengono cioè realizzati pensando al pubblico a cui verranno destinati. Non è raro, secondo questo principio, vedere realizzato un cartone animato per adulti dove per “adulti” s’intende un contesto narrativo, dei dialoghi e delle situazioni che sarebbero inadatte ad un pubblico di minori; esistono anche cartoni animati prodotti per adolescenti, preadolescenti o bambini al di sotto dei cinque anni. Seguendo questo principio, cioè differenziare i cartoni animati secondo il pubblico a cui sono destinati, essi vengono collocati nei palinsesti televisivi; non è raro infatti trovare in Giappone cartoni animati anche ad orari per noi impensabili quali ad esempio in seconda serata. Questo principio viene del tutto a mancare in Italia dove l’animazione è sempre stata considerata una “cosa per i bambini”; quando un canale televisivo compra i diritti di un cartone animato non si cura della fascia d’età cui è destinato, s’interessa soltanto della possibilità che, una volta lanciato, il prodotto possa attirare a se un enorme carico pubblicitario. Questo è forse il punto centrale del nostro discorso: per “adattare” il prodotto ad un pubblico di minori il compratore dei diritti decide di “tagliare” tutte le scene che ritiene non essere adatte al nuovo pubblico; nel fare ciò però rovina irrimediabilmente il contesto narrativo del cartone animato e muta del tutto il prodotto di cui aveva precedentemente comprato i diritti. Questa operazione chirurgica la si può chiamare adattamento, ma ad esser sinceri, sarebbe il caso di chiamarla con il suo vero nome: censura. I due cartoni animati da me precedentemente citati, Sailor Moon e Rayearth, hanno subito un penoso “adattamento” e una massiccia opera censoria, qui di seguito ne riporterò alcune delle più clamorose. In una operazione in codice chiamata “cerotto” l’adattatore ha epurato il cartone di ogni scena che contenesse sangue o ferite; le spadate quando vanno a segno sono dolorose, sempre per l’adattatore, ma non hanno conseguenze. In Sailor Moon questo tipo di censura è piuttosto limitata, in Rayearth invece è molto frequente. Tra queste, di particolare interesse risulta essere la scena dell’aggressione del cane di una delle protagoniste (Hikaru o Luce); questi, azzannandola al collo, tra lo stupore dei telespettatori, non le procura nessuna apparente ferita. Questo “miracolo” avviene perché nell’edizione italiana il tutto è mascherato da un fermo immagine e da uno zoom. L’aggressione da noi si riduce soltanto a qualche lacrima dovuta al dispiacere sulla situazione vissuta. Nella versione giapponese, quella originale, la ragazza subisce invece una ferita molto profonda con abbondante fuoriuscita di sangue. È chiaro però che, gli autori hanno voluto sottolineare il fatto che, per la piccola guerriera Hikaru, la ferita più dolorosa dovesse essere, agli occhi dei telespettatori, il dispiacere per l’aggressione subita dal suo fedele cane. Soltanto dopo l’intervento della principessa di Cefiro la ragazza si rende conto dell’impossibilità della circostanza, prende coraggio e affronta la situazione. Ma violenza non è unicamente sangue, ferite o circostanze di carattere che potremmo definire “estreme”. Violenza significa anche situazione di “forte emozione”. Ecco quindi tra le azioni censurate in Rayearth, uno schiaffo. Lo schiaffo di Umi nei confronti del piccolo Ascott. Questa scena è inserita nella versione originale dopo un confronto psicologico tra i due personaggi terminato con una serie di lamenti e pianti da parte del piccolo bambino. È chiaro come proprio per la sua piccola età, trovatosi in difficoltà, Ascott non abbia avuto altra reazione che quella di una crisi “isterico-capricciosa”. La ragazza, in quel momento, avendo esaurito la sua pazienza non trova altro modo per calmarlo che schiaffeggiarlo. Lo schiaffo non è un “capriccio dell’autore”, non è un elemento superfluo del quale se ne può fare a meno. No, esso è inserito volontariamente perché ritenuto un buon metodo “calma isteria”. Uno schiaffo dato ad una persona capricciosa; uno di quelli che le madri di tutto il mondo danno ai loro figli perché hanno esaurito ogni risorsa, cioè quando hanno esaurito la loro pazienza. Questo contesto narrativo salta nel momento in cui gli adattatori della versione italiana decidono la soppressione della scena più importante. Vorrei far notare che, la scena immediatamente successiva, dove i piccolo Ascott si porta la mano sulla guancia arrossita, è stata lasciata intatta!! Assurdo poi il fatto che, nel riassunto dell’episodio successivo, lo schiaffo venga riproposto e fatto vedere nella sua integrità. Violenza uguale morte. A differenza di Sailor Moon, in Rayearth la morte è definitiva ed è evidenziata in tutta la sua drammaticità. A parte la fedele amica Presea che cade in battaglia dopo aver consegnato alle protagoniste le loro armi, la morte dei nemici è calcata dagli autori come un passaggio importante per la vita psicologica delle piccole guerriere che, vivendo questo contesto drammatico, maturano passando dalla serenità della gioventù alle preoccupazioni del divenire adulti. È evidente, per esempio, con Zaggart che muore in battaglia con il suo managuerriero, ma è ancora più evidente con la morte della principessa Emeraude che esplode letteralmente con il suo managuerriero dopo un attacco congiunto delle tre protagoniste e guidato da Hikaru. Alla fine dell’episodio le ragazze si ritrovano a Tokyo abbracciate ed unite da un unico pianto di dolore. Nella versione italiana la principessa e il suo amato Zaggart esplodono con il loro managuerriero, ma non muoiono, essi vanno “in un’altra dimensione” dove potranno essere più felici!! Ancora una volta l’adattatore di Reyearth è andato oltre le sue mansioni. Vedere “esplodere” un robot con il suo pilota ed affermare che esso non è morto, ma si trova in un’altra dimensione equivale ad affermare che i bambini nascono dentro un cavolo o che vengono trasportati dalle cicogne! Si rischia soltanto di creare confusione. È importante far notare come da più parti, nel corso degli scorsi anni, si è cercato di creare opere che spiegassero, con l’aiuto di animazioni, libri animati e programmi televisivi dal linguaggio più semplice possibile quali ad esempio “Quark” o “La macchina del tempo”, la nascita della vita, il funzionamento del corpo umano e la sua morte. Tutto questo lavoro è stato o sarà inutile se si continuerà ad epurare da un cartone animato, primo programma realizzato per un pubblico di minori, le parole od il concetto stesso di morte. Le censure perpetrate su questi cartoni animati non si limitano alle scene di violenza, ma proseguono con quelle di nudo, d’amore o che hanno attinenza con i sentimenti umani. La scure censoria in questi contesti agisce con più veemenza tagliando e riunendo in modo arbitrario e senza tenere conto del contesto narrativo. Nonostante le censure subite da entrambe le serie riguardo alle scene di nudo durante le trasformazioni delle protagoniste o dell’ormai tristemente famoso episodio 200 dell’ultima serie di Sailor Moon, perpetrate tramite l’ormai consueto fermo immagine, la censura più evidente, che non tiene conto del contesto narrativo originale e quindi più condannabile, è quella subita dal rapporto tra Haruka e Michiru in Sailor Moon. Nella versione giapponese è evidente fin dal primo incontro, tra le sailorguerriere ed Haruka, la tendenza sessuale di quest’ultima. Essa infatti, veste da uomo ed ha atteggiamenti palesemente tendenti verso l’altro sesso; soltanto dopo gli incontri successivi le ragazze si renderanno conto del reale sesso dell’amica. Ciò che però è ulteriormente censurato è il rapporto omosessuale tra Haruka e la sua inseparabile amica Michiru che si evidenzia, nella versione originale, con affettuosità fuori dal comune. In Italia queste scene sono giustificate soltanto da una forte amicizia ed i dialoghi, ovviamente, sono stati totalmente cambiati ed adattati per nuova situazione. Giova ricordare che in Rayearth le censure sono state fatte anche sui baci (tra Calvina e il guerriero Rafaga) e sulle scene comiche come quando un bambino, incuriosito dal vestito di Umi, lo alza lasciando intravedere le gambe e la sottogonna della ragazza. Ignoro per quale motivo siano state fatte (molti altri cartoni animati hanno scene di baci, primo tra tutti lo stesso Sailor moon), tuttavia è importante sottolineare la difficoltà oggettiva, per qualunque persona, capire quale scena o dialogo potrebbe causare problemi psicologici nei piccoli telespettatori. Quando si parla di censura dell’uso benefico che essa potrebbe portare, soprattutto in merito alla salvaguardia dei minori, inevitabilmente vi è il pericolo che essa sia strumentalizzata per fini moralistici o poco nobili. Negli ultimi anni questo tema, la violenza nei programmi destinati ai minori, è stato al centro del dibattito sociale e giornalistico; molte cose sono state dette da esperti e giornalisti specializzati, cose più o meno giuste; interventi più o meno opportuni. In qualunque settore, specie quelli scientifici, quando s’intende mettere alla prova ipotesi che riguardano molti soggetti diversi tra loro e con infinite variabili interagenti, vi è una reale necessità di usare metodi statistici complessi come le analisi multivariate ricavate cioè da più discipline. Questo tipo di analisi comporta, inevitabilmente, difficoltà nell’interpretare e nel valutare i risultati. Tuttavia, nell’affrontare un problema di così grande rilevanza sociale, non è più ammissibile accettare giudizi e pareri di esperti improvvisati che inguaiando del tutto o in buona parte la letteratura scientifica, promuovono la disinformazione e la confusione che si ritrovano in questo ambito; un esempio concreto può essere dato dal grafico (fig. n° 1) ricavato da una ricerca americana commissionata nel 1978 dall’osservatorio sui Media e sui suoi effetti che, dimostra l’infondatezza di certi allarmismi di alcuni esperti in cerca di fama. Va ricordato tuttavia che la violenza ha sempre fatto parte della vita umana e pensare di risolvere il problema riducendone la presenza nel teleschermo, significherebbe favorire una visione deformata della realtà sociale in cui viviamo. Chi pensa di creare un’opera, sia essa un film o un cartone animato, “epurato” dai mali della società, è un’utopista. Queste forme d’arte, perché di questo si tratta, nella maggior parte dei casi, sono rappresentazioni della realtà in cui viviamo siano esse parziali o totali. Qualcuno ha affermato che il denaro, la violenza ed il sesso sono i tre motori del mondo reale e proprio in quest’ordine; noi potremmo rispondere che uno dei tre, la violenza, la potremmo considerare pleonastica perché inseparabile dagli altri due. Studi molto approfonditi negli ultimi trent’anni, hanno dimostrato come un programma violento o brutale per i giovani e per i bambini, può paradossalmente assumere il significato di una rassicurante e familiare connivenza con la realtà laddove l’adulto invece sente solo il fastidio di una aggressione gratuita. Tuttavia bisogna ricordare che gli allarmi per i possibili effetti della violenza sullo schermo televisivo non sono del tutto infondati, soprattutto per la sua “invadenza” in famiglia; bisogna cercare delle soluzioni che evitino, a priori, problemi di questo tipo. Nessuno è in grado di dire cosa o no dev’essere fatto; tuttavia si possono (si devono) suggerire alcune linee guida. Per ridurre i rischi, i punti d’attacco sono molteplici. Innanzitutto, una responsabilizzazione ed un’autodisciplina nell’emittenza prima che s’intervenga con forme di regolamentazione. Questo tipo di comportamento, causerebbe una produzione e una scelta di programmi migliori. In secondo luogo, un’educazione delle famiglie all’uso più consapevole ed attento della Tv: fare in modo, cioè, di rendere partecipe il bambino con spiegazioni sul piano etico e sul piano dell’elaborazione al messaggio. Infine la scuola che può, o almeno dovrebbe, contribuire, educando i bambini ad una fruizione più distaccata, critica e consapevole del mezzo televisivo. Nel boom degli anni settanta, i cartoni animati giapponesi, gli anime, hanno rappresentato una rivoluzione culturale per la Tv. Le azioni, così dette violente, s’inserivano in un contesto drammatico, a volte tragico e, non come una volta, comico; i personaggi protagonisti sono portatori di sofferenze fisiche e psicologiche ed i disegni si spogliano della loro “caricatura” per assumere un aspetto più realistico. Le trame portano spesso il protagonista a contatto con numerosi travagli o con la morte. Tuttavia questi tipi di contesti non sono del tutto nuovi alla cinematografia, nuova invece è l’età degli spettatori: i bambini. Questi, infatti, non sono più isolati in un mondo fantastico tra animali parlanti o buffi personaggi ma, si trovano esposti ad una rappresentazione della sofferenza e della morte, anche se solo legata alla fantasia. Pur senza avere un aggancio diretto con la loro realtà, i bambini hanno comunque immagazzinato i dati provenienti dal programma per poi utilizzarli nella “loro realtà”, vale a dire nei loro giochi e nelle loro fantasie, in cui la morte, vi prende parte attivamente. Quante volte i bambini giocando hanno finto di ” ammazzare o di esser morti “? Presumiamo tante e in tutte le generazioni da quelle dei nostri padri a quelle dei nostri figli. tuttavia proprio il fatto di assistere a programmi dai toni “reali” ha, o almeno avrebbe dovuto, contribuire alla formazione della personalità e a rendere più vicina la realtà quotidiana. Ricordiamo infatti, che nonostante ogni adulto vorrebbe per i suoi bambini un mondo “ovattato” non potrà mai del tutto isolarlo dalla realtà sociale in cui esso cresce. Il tema proposto più volte in “Kappa Magazine”, la censura, è pleonasticamente legato alla violenza in Tv e quindi alla protezione dei minori; dopo tanto parlare però, una domanda s’insinua nelle nostre menti: siamo realmente sicuri che “censurare” sia la risposta più giusta al problema dei minori? Non credo che arriveremo a dare risposte esaurienti, ma siamo convinti di aver comunque dato il nostro modesto contributo alla discussione. Vorrei terminare questo articolo con un brano tratto da uno scritto di Renato Sigurtà, membro ordinario della SPI, Società Psicoanalitica Italiana, ed autore di numerosi saggi di psicologia. Lascio a voi il compito di trarre conclusioni e rispondere, consciamente o inconsciamente, alla domanda da lui posta, sappiate che, in ogni caso, avrete sempre il dubbio che la risposta vostra sia o no quella giusta. “Confesso che mi piacerebbe sapere se, essendosi imbattuti in un cadavere pugnalato nel chiuso di un boschetto ai piedi dell’Acropoli, non lontano dal teatro di Dioniso, gli antichi ateniesi lo avessero o meno messo in relazione con il fatto che il giorno prima su quel palcoscenico era stata rappresentata l’Orestiade, con il corredo di uxoricidi e infanticidi e con l’aggiunta di un banchetto antropofagico che la trilogia eschiliana comporta. Ne avrebbero cioè ipotizzato una dipendenza suggestiva, analogamente a quanto si fa da più parti oggi, quando si cerca un nesso se non causale, per lo meno scatenante, tra una certa produzione di massa (cinema, Tv e fumetti) ed i delitti di analoga impronta che vengono compiuti nella società che tali mezzi consuma, oppure avrebbero trovato altre causali?”. (riproduzione riservata) Fabrizio Bellocchio
F. Bellocchio
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