Il pioppo dei partigiani che diventò un parco

Sembra una grandiosa mano rivolta al cielo, forse a invocare che un po’ di senno cali sul genere umano, quel che rimane del pioppo monumentale abbattuto a Ganaceto, frazione di Modena, nell’ottobre 2010. Per sessantasei anni, dominando la strada dal bordo di un campo, aveva tenuto vivo il ricordo di quattro partigiani impiccati ai suoi rami poderosi. Fatto a pezzi, malgrado lo sdegno popolare, su richiesta del formale proprietario che temeva di dover rispondere dei danni ove mai fosse caduto, il patriarca è stato però riscattato e trasformato in monumento da Oberdan Meletti, un filantropo locale. Quindi ha ispirato un film documentario, “Populus Nigra – ecologia della memoria”, diretto da Paolo Galassi e prodotto da Indaco films & more. Una dichiarazione d’amore e al contempo una richiesta di perdono rivolte a un titano di centosettant’anni, alto 35 metri per un metro di diametro delle sue radici e m.5,60 di circonferenza del tronco.
La sorte lo avvia a essere un monito per la nostra specie nell’estate del 1944, quando a Ganaceto, durante uno scontro, viene ucciso un tedesco. “Accadde di notte, in una stalla. Mi arrampicai sopra il granaio mentre lo portavano via in un carretto; era coperto, gli si vedevano solo ballare i piedi,” racconta Aldo Paglia, allora bambino. “Mio padre faceva le corde. Un mattino alle sei bussarono con i moschetti, scaraventarono a terra tutti i sacchi e presero certe funi robuste e sottili, di quelle per guidare i cavalli. Ci siamo chiesti a cosa servissero, ma lo scoprimmo presto.” Per ritorsione infatti i nazifascisti prelevarono dalle case dieci uomini, annunciandone la pubblica impiccagione. Intervenne il parroco, aiutato da un avvocato della zona, perorando la loro salvezza, insistendo che quella era tutta brava gente. I soldati allora liberarono i paesani e scelsero quattro uomini fra gli imprigionati all’Accademia Militare di Modena, accusati a vario titolo di partigianeria. Tre di loro appartenevano alla stessa famiglia; non ebbero modo di sottrarsi, il 20 agosto, a un’esecuzione esemplare: “Li lasciarono appesi all’albero due giorni, sono cose che non si dimenticano più”.
Finita la Guerra, accanto al grande pioppo viene posto un cippo con i nomi di Vittorio Golfrè Andreasi, cinquantacinque anni al tempo, suo figlio Bruno di ventiquattro, coetaneo del cugino Elvino Prestento, mentre Aristide Nini ne aveva solo ventitré. A loro è dedicato il documentario: “Ma idealmente lo rivolgo anche alle mie figlie e al loro futuro, sperando che questa storia inviti a una nuova considerazione verso il Pianeta” dice il regista Galassi.   “Notai la stele, coperta da erbe e pezzi di legno, solo dopo aver iniziato a interessarmi della colossale carcassa riversa a terra,” racconta Oberdan Meletti, modenese in pensione che possiede una collina verde a Fellicarolo, frazione di Fanano: ne ha recintato e attrezzato un’area mettendola a disposizione di bambini e anziani.
L’ingresso al giardino è libero, aperto a gite, chiacchiere, picnic (“purché ciascuno pulisca, ma non trovo mai nemmeno una cartaccia”), giochi, partite a carte e scambio di opinioni. “Non sono nato qui, non conoscevo il pioppo,” prosegue “ma un giorno, passando, l’occhio mi cade su un oggetto incredibile al bordo della carreggiata. Parlai con il padrone del terreno: ‘Vorrei portare questa cosa in un posto migliore gli proposi. Scoprii poi che era stato un albero straordinario, ognuno dei cinque rami mozzati ha le dimensioni di una pianta adulta; per abbatterlo avevano impiegato giorni, spezzato catene. Portarlo su da me, all’inizio del 2011, fu un’impresa; benché dimezzato e senza chioma pesava ancora 60 quintali. Adesso, ridotto a un totem di sei metri – un metro ulteriore è interrato – rivive diversamente nel parco di Fellicarolo, comunica e insegna a noi tutti. Per visitarlo vengono anche da lontano.
E ci ricorda fra l’altro che senza gli alberi, che all’uomo hanno sempre dato con completa generosità, noi non saremmo qui.” Concetto ribadito dall’agronomo e consulente ambientale Fabrizio Manfredi, fra i protagonisti della pellicola, che si augura di non assistere più a simili scempi: “Troppo spesso i grandi vecchi della natura, questi giganti che ci accompagnano nel tempo con la loro commovente bellezza e ci proteggono da cambiamenti climatici, carbonio, polveri, inquinamento, sono devastati da abbattimenti e potature per un presunto concetto di pericolosità. Ma l’altezza in sé non costituisce rischio. Esistono piante di duemila anni alte fino a 100-110 metri, che modificano alla perfezione la propria struttura in base alle sollecitazioni ambientali.” A maggior ragione si attende con impazienza che entri in vigore, attraverso la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, un disegno di legge nazionale sulla tutela di alberi monumentali e verde urbano approvato con procedura abbreviata – grazie all’insistenza di un gruppo di parlamentari guidato da Ermete Realacci e Roberto della Seta – il 21 dicembre scorso.

Margherita D’Amico

Fonte Repubblica.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Blue Captcha Image
Aggiornare

*