Ecco cosa scrisse di lui Franco Poggianti giornalista Rai e primo direttore responsabile del giornale “IL CALEIDOSCOPIO Nato per non essere soli” ideato e fondato nel 1991 da Fabrizio Bellocchio
“Fabrizio, quando lo conobbi, aveva poco meno di quindici anni. Negli occhi gli brillava la curiosità di uno che ha voglia di inghiottire l’universo e l’ansia di chi sa che gliene mancherà il tempo. E la determinazione di chi sente in sé urgenze ineludibili.
Mi colpì la sua vivacità intellettuale, l’avidità di conoscere e di comunicare, il desiderio di spendersi.
Il male che aveva dentro, anziché un ostacolo era uno stimolo a fare di più e a fare presto. D’altronde quella sua infermità la portava con leggerezza, non ce la rovesciava addosso. La presenza della morte ch’egli avvertiva dava valore alla vita che gli palpitava dentro e la faceva esplodere in vitalità.
Fabrizio divenne padrone del tempo: lo moltiplicava, lo dilatava, ne sfruttava ogni lembo disponendo, stivando in esso le sue iniziative, le sue attività.
Il giornale, questo suo e nostro “Caleidoscopio” non fu mai un giocattolo: era la sua finestra sul mondo e il suo megafono. Le gambe con le quali correva dai suoi amici, la voce con la quale gridava le sue idee, gli occhi con cui guardava il mondo. Con Wanda e Giovanni tipografi e spedizionieri, editori e segretari di redazione, collaboratori efficienti e genitori affettuosi, trepidi.
Quante iniziative, quante idee, quanti progetti in quel poco tempo che gli è stato dato; quanta fantasia, quanto entusiasmo, quanta energia.
E quanta tenerezza nel rapporto con gli amici, in quei biglietti che di tanto in tanto faceva scivolare per me fra le copie del giornale e che firmava “il tuo piccolo gnomo occhialuto”, quasi a ricordare che in qualche modo sopravviveva il lui quel ragazzino dei nostri primissimi incontri, quando chiedeva consigli sull’impaginazione o su un articolo o un’intervista da fare.
Negli anni che seguirono ci vedemmo pochissimo, ma i contatti non si interruppero: non mancò mai di tenermi aggiornato delle sue nuove intraprese, di comunicarmi i suoi progetti e le sue conquiste e nello stesso tempo, quando sapeva di mie disavventure politico- professionali, di manifestarmi il suo sostegno e la sua affettuosa partecipazione.
Quando mi dissero che era in ospedale, che le speranze erano ormai poche, non volli credere che avrebbe ceduto: pensavo che ancora una volta avrebbe beffato il tempo, stirandone le pieghe per dilatarlo ancora.
Che la sua urgenza di vita l’avrebbe avuta vinta ancora una volta, che la forza che aveva dentro l’avrebbe spuntata sulla fragilità di quel corpo gracile.
Ora sentiamo che ci manca la sua combattività che non fu mai rabbia, la sua serenità che non è mai stata rassegnazione, la sua affettuosità che non è mai stata sdolcinatezza, la sua generosità, la sua ansia di consapevolezza. Grazie, Fabrizio, piccolo gnomo occhialuto. Che lezione…”
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